Gli animali dell’aia nelle tradizioni cremonesi
Le festività | ||||
Le festività, occasioni di letizia e di gioia, erano invece quasi sempre motivo di strage degli animali da cortile, che venivano sacrificati per arricchire le mense degli umani (e, come vedremo tra poco, ci sarà un poeta cremonese che darà voce a polli e tacchini per protestare contro questa barbara usanza...). Seguiamo ora il calendario delle festività. | ||||
Gli animali da cortile e il calendario | ||||
1 gennaio: la gallina e l’ancor più pregiato cappone erano presenze importanti nel pranzo di inizio anno, nel piatto dei lessi, insieme al manzo (ma il piatto veramente tipico era il musetto di maiale, considerato simbolo di prosperità). 25 marzo, festa dell’Annunciazione: nelle campagne del Cremonese un tempo si raccomandava in quel giorno di non cogliere verdure, né di tagliare erba da dare ai polli od ai conigli, né di far foraggio per il bestiame perché dall’erba sarebbe uscita una biscia (si pensi all’iconografia sacra che vede la Madonna schiacciare con un piede il serpente!); la mattina, prima di andare in chiesa, le donne passavano dal pollaio, raccoglievano le uova e le deponevano dinnanzi all’altare o alla statua della Madonna. Giovedì santo: si preparavano dolci speciali che avevano come base le uova raccolte nel periodo della Quaresima, che venivano conservate "annegandole" nello strutto perché si mantenessero fresche. A Casalbuttano per le bambine si facevano con uova, farina e zucchero le fantine, bamboline dolci decorate con confettini perlati, mentre per i bambini si facevano in genere cavallini; fantine e cavallini dolci venivano mangiati il lunedì dell’Angelo nelle tradizionali scampagnate. Venerdì santo: la sera gli adulti mangiavano due uova sode – uno solo i bambini – con contorno di radicchi selvatici lessati e conditi con olio e aceto: si diceva che ciò proteggesse dal morso dei serpenti velenosi. In alcune zone della provincia la mattina presto le donne raccoglievano le uova deposte dalle galline e, senza passare da casa, andavano direttamente in chiesa a offrirle alla Madonna (si ripeteva cioè la pratica seguita per la ricorrenza dell’Annunciazione). Sabato santo: quando bambini e ragazzi dopo aver trascinato per le strade polverose le catene del camino fino a lucidarle (l’operazione si chiamava la sgüüra) tornavano a casa a metà pomeriggio, trovavano come premio i òof culuràat: uova di gallina fatte bollire insieme a fondi di caffè, ad erba verde o a carte colorate. Ricevuto il premio i bambini si recavano sul sagrato a giocare a scuseta (piccola scossa): i contendenti erano due, ed ognuno teneva in mano un uovo e lo faceva urtare con la parte appuntita contro quello dell’altro; il primo uovo che si incrinava passava in proprietà del vincitore il cui uovo era rimasto integro. Pasqua: come in tutte i pranzi delle feste più solenni non mancava mai tra le carni il pollo arrosto; il piatto più caratteristico era però costituito da uova sode sbucciate, tagliate a metà e presentate con una fogliolina di olivo benedetto nel mezzo. Lunedì dell’Angelo: le uova sode, insieme al salame ed all’insalata, erano presenze costanti delle merende che i cremonesi consumavano in occasione delle tradizionali gite fuori porta. Forse a Cremona la tradizione delle scampagnate di Pasquetta deriva da una più antica usanza, connessa ai pellegrinaggi, ricordata da un cronista del Seicento, Giuseppe Bresciani (35): tutti i pellegrini dopo aver partecipato alla messa in Cattedrale si recavano in Pescheria (oggi via Platina) a ricevere la benedizione del Cardinale Vescovo e poi si dirigevano, accompagnati dalla confraternita di S. Rocco con trombe e musica, fino al fiume Po dove si imbarcavano per i luoghi santi. Nel Quattrocento il lunedì dopo Pasqua si correva a cavallo il Palio di S. Quirico che, partendo dalla chiesa dedicata al santo (che si trovava allo sbocco di via Palestro in viale Trento e Trieste) passava per la chiesa di S. Vincenzo (sempre in via Palestro), percorreva corso Campi, proseguiva per S. Sofia e, da piazza Piccola (oggi Stradivari), si immetteva in piazza Duomo; il vincitore era premiato con un maialino e con un gallo. Domenica in Albis: nel Seicento la confraternita della SS. Annunciata di S. Vincenzo portava ai mendicanti di S. Alessio un vitello arrosto insieme a pane e vino ed uova. 22 luglio, S. Maddalena: nei pressi della chiesa di santa Maria Maddalena in via Gonzaga, l’attuale via XI febbraio, si correva il palio dell’oca. Chi riusciva, passando al galoppo, ad afferrare al volo per il collo un’oca (non si sa se legata a un alto palo, detto majo, o se invece interrata con il collo fuori, come si usava in Spagna in quel tempo) vinceva due braccia di panno cremisino. Premi analoghi erano attribuiti in altri palii cittadini, le cui vittime erano altri animali da cortile. 7 agosto, S. Donato: tra le attuali via Sicardo e via Patecchio, davanti alla chiesa del santo (demolita nell’Ottocento), si disputava il palio del coniglio; 10 agosto, S. Lorenzo: tra le attuali via S. Gerolamo da Cremona e via S. Lorenzo davanti alla chiesa dedicata al santo si disputava il palio del gallo; 24 agosto, S. Bartolomeo: davanti alla chiesa che sorgeva tra corso Vittorio Emanuele, via Ponchielli e via dei Tribunali si disputava il palio del gallo d’India (cioè del tacchino). A questi palii e ad altre simili feste popolari – di probabile origine pagana, spesso poco compatibili con l’occasione religiosa e che erano talora fonte di disordini popolari e di pericolo per l’incolumità della gente – pose fine nel 1575 il cardinale Carlo Borromeo. 11 novembre, S. Martino: nel Seicento i contadini avevano l’obbligo di portare i capponi ai loro padroni secondo i patti contrattuali; le c.d. «onoranze», o pendìsi, sono state a lungo previste nei contratti agrari (ve ne è traccia indiretta anche ne El pouleen de Nadal, un monologo in versi scritto nel 1898 dal poeta cremonese Giovanni Lonati, riportata nel successivo paragrafo dedicato alle poesie dialettali) e sono del tutto scomparse solo alla metà del secolo scorso. Natale: gallina lessa e tacchino al forno insieme ad altre prelibatezze allietavano le tavole dei cremonesi che potevano permetterselo. (35) Giuseppe Bresciani, Diario curioso di quello che s’osserva giornalmente nella città di Cremona, Cremona 1638, p. 35. | ||||