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Vocazione del territorio e cenni storici

Nell’antichità era consuetudine, per i greci e i romani cibarsi dei più svariati pesci di mare e d’acqua dolce, di crostacei e di molluschi che venivano consumati freschi o sotto sale, usanza quest’ultima praticata soprattutto dalle classi meno agiate.

Apicio, il cuoco per eccellenza, ha dedicato un libro intero del suo trattato, il X, al pesce e alle diverse maniere per cucinarlo, ma nell’età medioevale la cucina dei ricchi privilegiava la carne e disdegnava il pesce.

L’evoluzione del consumo del pesce è stata condizionata in modo determinante dalla severità della pratica religiosa che prevedeva una distinzione fondamentale tra giorni di grasso e giorni di magro (allora ben più numerosi di oggi) in cui la carne era vietata. Dette prescrizioni, che incrementavano l’uso diffuso del pesce, salutare sia per lo spirito che per il corpo, portarono ad identificare il pesce come simbolo della dieta quaresimale e per secoli nei ricettari l’alternanza grasso-magro s’impose ad ogni altra distinzione.

La provincia di Cremona, ritagliata nel cuore della pianura padana tra i corsi dei fiumi Adda, Oglio e Po che ne segnano i confini, ricca di acquitrini, fontanili, rogge, roggette e canali, fin dai tempi più antichi ha trovato nella pesca una delle principali forme di sussistenza. Le fonti antiche (dall’ VIII al XII secolo) testimoniano la presenza di acque vive e correnti in 52 località del territorio e di acque paludose in altre 29, ma anche l’esistenza di 23 mulini e di 21 peschiere quali segni evidenti dell’utilizzo dell’acqua, fattore importante nell’economia del Medioevo. Sono localizzati sulla Cremonella, sul Morbasco, sulla Delma, sull’Oglio, sull’Adda e sul Po. Significativo lo speciale rapporto che nel X secolo si era stabilito tra i pescatori e il vescovo di Cremona il quale, fin dall’età carolingia, deteneva i diritti sul fiume Po da Bocca d’Adda al porto di Vulpariolo. I pescatori pagavano l’affitto per poter pescare, traghettare, cavare il ghiaccio durante i mesi invernali. Godevano inoltre del diritto di poter vendere il loro pesce sulla piazza, lungo il lato meridionale della Cattedrale, tra la Curia e il palazzo del Vescovo, tanto che quest’area viene continuamente ricordata con il termine di Pescarìa. Qui i pescatori avevano botteghe in cui vendevano materiale per la pesca e in particolare corde per le reti. Nella zona corrispondente all’isolato posto alla confluenza delle attuali vie XX Settembre e Bonomelli, sulla via Platina, è documentato un non meglio specificato Hospicium de pisse seu stala magna domini episcopi forse una antica stalla ossia un capannone, concesso in uso ai pescatori per stivarvi il pesce pescato per la salatura e la conservazione, chiamato appunto ospizio del pesce. Il pesce fresco veniva venduto sotto i portici della Curia più o meno in corrispondenza dell’attuale palazzo vescovile.

Ma il pesce, come s’è detto, era il cibo per il popolo che, con la pesca e con la caccia esercitate di frodo, riusciva a procurarsi le sostanze proteiche necessarie per sopravvivere in tempi duri, di grande povertà generale. Il Platina non è molto favorevole al consumo del pesce:

«…i pesci di tutte le qualità si digeriscono a fatica… e per di più generano sangue freddo e flemmatico dal quale hanno origine gravi malattie… e senso di arsura. Sembra tuttavia che siano emollienti dell’intestino e facciano aumentare lo sperma».

I pesci più apprezzati e presentati spesso alle mense signorili sono storioni, anguille e trote che hanno carni delicate, fini e convenienti. Se ne cucinano molti anche a Cremona dove le leggi Suntuarie, fatte con l’intento di frenare il lusso eccessivo, vietavano la mescolanza di piatti di carne e di pesce nello stesso pranzo, proibivano o limitavano alcuni prodotti di importazione come le ostriche, i pesci di lago e di mare. Ma raramente queste prescrizioni venivano rispettate anche se le multe per i contravventori erano salatissime: 50 scudi d’oro per gli anfitrioni, 10 scudi d’oro per cuochi e sescalchi da sostituire con tratti di corda se non avessero avuto la possibilità di pagare.

Dal notaio Bordigallo, presente al banchetto nuziale allestito a Cremona per il matrimonio di Anastasia Secchi e Ludovico Affaitati l’8 febbraio 1519, sappiamo con minuzia di particolari che accanto a piatti elaborati di carni di animali domestici e selvatici (vitelli, cervi, caprioli, porchette, agnelli, pernici, tordi, quaglie, fagiani, lepri, pavoni, anatre, piccioni e capponi) non mancarono piatti di pesce di mare e d’acqua dolce quali tonni, barbi, temoli, anguille, lucci, tinche, gamberi, ostriche, caviale e bottarga. È il banchetto trionfale che sancisce l’unione di due ricche e potenti famiglie cittadine, ma i cremonesi del tempo mangiavano sempre il pesce nei giorni di magro insieme a verdure, uova, frittate.

Il mercoledì, il venerdì e il sabato nei monasteri femminili di città e provincia si mangiavano anguille, ambolina cioè pesce minuto da friggere, in genere pesce arrosto, gamberi di fiume: così attestano le relazioni delle visite pastorali condotte dal vescovo Speciano tra il 1599 e il 1606.

«La cuoca cremonese» il ricettario pubblicato a Cremona nel 1794 ci dà diverse ricette per cucinare il pesce d’acqua dolce per i giorni di magro.

E delle prescrizioni del magro bisogna tener conto negli accostamenti, nella scelta del condimento (olio al posto di burro e lardo) e dei profumi (timo, lauro, basilico, cipolla e carotole). Fondamentale è poi il sapersi destreggiare tra i prodotti che la stagione e il territorio offrono per ottenere piatti più saporiti. E così, per quanto riguarda i pesci di acqua dolce, la cuoca cremonese avverte che il pesce persico non è buono in primavera perché va in frega, che gamberi, anguille e temoli non sono consigliabili in estate mentre lucci, tinche, trote e carpioni sono buoni sempre come lo storione, che la nostra cuoca annovera tra i pesci di mare. Sembra ottima la ricetta che ella suggerisce per cucinarlo allo spiedo dopo averlo lasciato due o tre ore a marinare. Gustose e semplici sono tutte le diverse proposte per cucinare pesce persico, lucci, anguille, carpioni, trote, tinche e gamberi.

Sul finire del Settecento e agli inizi dell’Ottocento la situazione locale per quanto riguardava i pesci presenti nei fiumi Po, Adda e Oglio e i momenti in cui la pesca era più copiosa sono delineati dal professore di storia naturale del liceo di Cremona Giuseppe Sonsis che, avvalendosi della collaborazione di esperti pescatori, così rispondeva ai quesiti posti dall’Amministrazione napoleonica al Dipartimento dell’Alto Po.

Il pesce più pregiato del Po è lo storione che viene catturato più frequentemente in primavera ed in autunno, quando le acque scarseggiano e la corrente si restringe nel canale: le carni degli storioni sono tra le delizie dei magnati, dalle loro uova si forma il caviale fuori del Dipartimento.
Nel Po si pescano due specie di trote, più raramente le bianche e più comunemente le rosse. Difficile è la pesca del temolo mentre si catturano con facilità ed in abbondanza le anguille. Il pesce persico si pesca in tutte le stagioni, lo stretto solo in marzo e sono presenti nelle acque del Po anche lucci, sbroffoni, carpane, barbi e tinche. Nell’Adda e nell’Oglio vivono tutti i pesci sopra ricordati ad eccezione dello storione. Nelle acque che irrigano le campagne e nei fossati si pescano sempre scardole, cavazzini, anguille, tinche, lucci e le zerle con i bozzi. Marzo e aprile sono i mesi più propizi per una buona pesca. Nelle acque di Mozzanica e del Soresinese si pescano in abbondanza lamprede e gamberi.

Situazioni e presenze confermate nel 1839 dalla relazione statistica redatta dal ragionier Legnani a proposito di pesce e pesca nel Cremonese.

Qual è la situazione odierna?

Nei tratti settentrionali di Adda, Serio e Oglio, contraddistinti da letto ghiaioso e alveo espanso, con acque poco profonde, limpide, fresche e ossigenate vivono la trota marmorata, il temolo, il gobione, la lasca e il vairone. Quando i sedimenti si fanno più fini si incontrano il barbo, il triotto, il cavedano, l’alborella. Dove le acque scendono più lentamente su fondali sabbiosi e limosi, troviamo carpe, tinche, carassi, scardole, anguille e lucci…

Soprattutto, se non esclusivamente, nel Po si incontrano ma assai raramente gli storioni; sempre nel Po e talvolta anche nell’Adda si può osservare in primavera la cheppia.

I fiumi del Cremonese ospitano anche varie specie ittiche esotiche importate in epoche diverse: il persico sole, il persico trota, il pesce gatto (proveniente dall’America), mentre il primato per dimensioni e voracità spetta al siluro, introdotto dalle regioni centroeuropee ed in rapida espansioni. Nelle acque padane il siluro non raggiunge le sue dimensioni massime, ma sono stati comunque catturati esemplari di oltre due metri di lunghezza e di più di cento chilogrammi di peso; è un grande predatore e si nutre di pesci di ogni dimensioni, di anfibi, di crostacei e perfino di uccelli acquatici e di roditori.