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7 - Il Baldus

Il Baldus è un poema maccheronico (misto di dialetto e volgare latinizzati), che trasfigura i racconti dei cantastorie medioevali della valle padana e del veneto dedicati ai primi passi di grandi personaggi storici o leggendari (Carlomagno bambino, Rolando bambino…).

Baldo è un personaggio comico di fantasia, ma gli viene attribuita una discendenza illustre, figlio del paladino Guidone da Montalbano e di Baldovina, figlia del re di Francia. Tutto quello che fa però, sono ribalderie volte a suscitare la risata grassa ed a dissacrare i canoni narrativi delle epoche precedenti. Una storia di paese, la sua, un poema contadino (ci troviamo nel mantovano, a Cipada).

Orfano di padre, il piccolo Baldo si fa rispettare per la sua faccia tosta. Ma anche perché c’è chi lo tira fuori dai guai, il famoso trovatore Sordello da Goito. Divenuto adulto, Baldo mette insieme una banda di guastafeste che si impegolano in imbrogli e gesta grottesche, spesso ai danni di sciocchi paesani come Zambello e Tognazzo. Il gruppo è composto da Fracasso, Cingar e Falchetto. Con loro le beffe assurgono a livelli iperbolici (Fracasso con la sua forza sovrumana è un antesignano dei moderni supereroi difettosi).

Si susseguono le truffe. Baldo si mette nei guai. La combriccola deve farlo evadere dal carcere di Mantova. Fuggono tutti da Cipada. Raggiungono la laguna di Chioggia ed il mare. Affrontano dei pirati e dei mostri diabolici.

Nell’ultima parte del poema la sfrenata fantasia del Folengo, con una narrazione destrutturata, passa al surreale: Baldo è consacrato eroe da una pietra luminosa; arriva sino alle sorgenti del Nilo; visita regni sottomarini; entra in inferno. Al termine i nostri finiscono dentro una grande zucca dove tutti i venditori di fumo vengono puniti da diavoli cavadenti: i filosofi, i bugiardi, gli astronomi, i medici, i poeti. Fantasia ridanciana. Satira non gradita alle autorità clericali, numerosi sono, infatti, i passi in cui monaci e preti vengono presi in giro.

In effetti nel 1525 il Folengo, monaco benedettino, venne allontanato dall’Ordine probabilmente a causa dei suoi scritti. Fu riammesso nel 1530 dopo aver fatto ammenda. A ben pensare, anche Rabelais (1494-1553) che apprezzò ed in qualche modo imitò il Baldus, vide il proprio grande capolavoro, Gargantua e Pantagruel, condannato dalle autorità ecclesiastiche.

Il cibo, la fame, le esigenze corporali sono spesso alla base della narrazione del Baldus. La ricerca del cibo e le grandi abbuffate sono il filone narrativo ricorrente. Il poema inizia con una cena reale descritta con dovizia, e nelle prime versioni quasi tutto il XIV libro è dedicato all’arte della cucina. Le ricette sono caratterizzate dall’abbondanza spropositata. In esse non compare la zucca che in ogni caso sigla con i suoi significati simbolici tutta l’opera e che, a conclusione del poema, con la sua mole ribalda, superiore all’Olimpo ed alle montagne della Valcamonica, può far da minestra a tutti gli imbroglioni in essa imprigionati:

Post aliquod spatium, comparet machina grandis,
grandilitas cuius montem superabat Olympi.
Et quid erat moles tanta haec? erat una cococchia,
sive vocas zuccam, seccam busamque dedentrum,
quae, quando tenerina fuit, mangiabilis atque,
certe omni mundo potuisset fare menestram.

Dopo un po’ di strada, compare un enorme congegno,
la cui grandezza supera il monte Olimpo.
E che era questa immensità? era una cocuzza
o, se vuoi, una zucca, secca e buca dentro,
che quando era verde e mangiabile avrebbe dato
a tutto il mondo la possibilità di farci una minestra.

Immagine dal sito di Ann E Mullaney

Zucca mihi patria est