La guerra guerreggiata
Il fronte italiano | ||||
"Se avete fame guardate lontano... Se avete sete la tazza alla mano..." I cori degli alpini testimoniano le drammatiche condizioni in cui la prima guerra mondiale è stata combattuta dall’esercito italiano. Su un unico fronte: le Alpi. Dallo Stelvio all’Adriatico e in parte sulla linea francese. L’Italia insieme alla Francia, all’Inghilterra ed all’Intesa contro l’Austria-Ungheria e il Governo Centrale. In Italia venne chiamata "guerra di posizione": a difesa dei confini e per la conquista delle poche terre irredente appena fuori confine. | ||||
Guerra di montagna e delle alte quote che ebbe come principale nemico, non solo il nemico vero e proprio, ma soprattutto le condizioni ambientali in cui si svolse. Freddo, neve, ghiaccio, tormenta e lontananza dai rifornimenti. Fu caratterizzata dalle difficoltà di vettovagliamento. Il cibo per l’esercito c’era. Le istituzioni e la popolazione si erano prodigate per garantire un adeguato rancio al soldato. Se ci si limita alla fornitura di carne per esempio, i numeri confermano lo sforzo: nel corso del conflitto vennero macellati 2.709.765 capi ("carne in piedi" in gergo militare), pari a 11.737.386 quintali e forniti 140 milioni e mezzo di scatolette di carne da stabilimenti militari ed altri 62 milioni da stabilimenti privati (Alberto Redaelli, Cucina-Vino e Alpini, Walmar, 2002). Il problema era un altro: riuscire a far arrivare il cibo in prima linea ogni giorno. E farlo arrivare appetibile, non scotto e freddo. In effetti, sfogliando le foto storiche, quello che colpisce sono le condizioni estreme, il disagio, i limiti di sopravvivenza fisici. Sono le espressioni del volto dei soldati che palesano il pericolo, lo spaesamento, la sottomissione al comando. Ma non i corpi. I corpi sono tesi, provati, ma non malnutriti. |
I muli | ||||
Camminamenti, pareti rocciose, altopiani, dislivelli, mulattiere. Situazioni logistiche in cui il trasporto su ruote era impossibile. Trasporto quindi con muli. E trasporto a braccia. I muli divennero i protagonisti della guerra e con loro i somelieri. Un mulo portava 80-100 kg per circa 8 ore di marcia. Il carico corrispondeva a 80 razioni di pane o 500 razioni di viveri complementari (Redaelli). Nella Carnia vennero ingaggiati anche portatori. Uomini e donne: le "Portatrici Carniche" che si distinsero per numerosi atti eroici. |
Le corvé | ||||
Le "corvé" (spedizioni giornaliere di uomini e muli per il trasporto di viveri, masserizie e munizioni), scandirono le giornate del conflitto. Dal loro arrivo dipendeva la sopravvivenza al fronte, la forza, le risorse fisiche ed il coraggio. Erano i bersaglio del nemico. Se venivano colpite oppure il fuoco d’artiglieria impediva loro la prosecuzione del trasporto, la missione falliva ed intere compagnie rimanevano senza cibo. |
Casse di cottura | ||||
Costituite da una marmitta e da un fornello che servivano per iniziare la cottura e da una cassa in legno, foderata di materiale coibente, dove la cottura si completava. Un sistema ingegnoso per utilizzare il calore stesso del cucinato per garantire la cottura. La marmitta contenente gli alimenti da bollire veniva messa sul fornello acceso, si portava tutto a temperatura, si garantivano i primi dieci minuti di cottura e poi si spegneva il fornello. A questo punto si riponevano marmitta e fornello bollenti nella cassa di cottura e si chiudevano ermeticamente sia la marmitta che la cassa. In circa due ore la carne ed il brodo erano pronti e si conservavano caldi per circa 24 ore. |
Cucine rotabili / cucine someggiabili | ||||
Il rancio veniva cucinato nelle retrovie. Gli Austro-Ungarici usavano cucine rotabili e così pure i Francesi. L’Esercito Italiano aveva sperimentato con scarso successo le cucine rotabili nel corso della Campagna in Libia. Per questo motivo la scelta fu di costruire, a poca distanza dal fronte, semplici cucine in mattoni oppure cucine ricavate sfruttando la forma del terreno. Di fatto la funzione di cucina mobile venne svolta dalle casse di cottura che venivano caricate sui muli. Ogni mulo era in grado di trasportarne due. In termine tecnico militare le casse di cottura erano chiamate "cucine mobili someggiabili" (Alberto Redaelli) |
Pane | ||||
La panificazione veniva garantita in parte con forni in muratura edificati nelle retrovie ed in parte con forni mobili. Forni mobili di tre tipi (Redaelli):
Quello più usato fu Il Weiss. A regime forniva 2000 porzioni di pane in 24 ore. Permetteva di ridurre notevolmente la distanza tra luogo di produzione ed utilizzo sul campo. Nel corso dei tre anni di conflitto vennero prodotti 5 miliardi di razioni di pane (Redaelli). Di fatto il sostentamento delle truppe venne garantito da un binomio: le casse di cottura per cucinare ed i forni Weiss per panificare. Durante la Grande Guerra il pane fu l’alimento principale degli italiani. Non lo si consumava tutto. In parte veniva tenuto nel tascapane. Serviva come riserva quando ci si disperdeva e bisognava aspettare la notte, fuori tiro nemico, per rientrare. Oppure come sostituto delle maschere antigas: pane bagnato fra i denti tenuto fisso da un fazzolettone legato dietro la testa. L’abbondanza di pane fu anche oggetto di sporadici episodi di scambio. Fanti italiani, fanti austriaci: poveri contadini mandati al macello. Una guerra incomprensibile sia per gli uni che per gli altri. Fronte quasi affiancato. Fame (austriaci), realismo (italiani). Tacito accordo. Tregua di fatto. Cibo in cambio di tabacco. Lancio di cartocci con pagnotte verso le linee austriache; tabacco di rimando verso quelle italiane. Dieci anni di galera a chi veniva scoperto..... |
Vino | ||||
Ne vennero consumati 5.700.000 ettolitri (Redaelli). La razione giornaliera ne prevedeva un quarto di litro al giorno, ma il consumo fu assai superiore. Buona parte della paga finiva in altro vino. Le truppe al fronte oltre al vino avevano quindici distribuzioni mensili di 4 cl di anice o cognac o elisir o rhum. In caso di attacchi erano previste altre integrazioni. L’alcol per aumentare il coraggio, la combattività e sottovalutare il pericolo. Bere per dimenticare: la vita grama, gli orrori, la morte. Gli alpini della 50° Compagnia Edolo al disgelo scoprirono di aver bevuto per tutto l’inverno l’acqua di un laghetto pieno di cadaveri austriaci (Redaelli). Per combattere lo schifo e tutto il resto, bevvero bottiglie di vino per tre giorni filati fino allo stordimento. |
Fuoco e fumo | ||||
Le trincee dei due schieramenti erano molto vicine. A vista ed a tiro d’artiglieria. Qualsiasi bersaglio che potesse fare da riferimento al nemico doveva essere evitato. In trincea era vietato pertanto l’uso del fuoco e non si doveva provocare fumo. Niente cucina da campo e niente fuochi per cuocere o riscaldarsi. Venne comunque studiato un espediente per riscaldate il cibo quasi senza fiamme e senza fumo: lo scaldarancio. |
Scaldarancio | ||||
Gli scaldaranci: cilindretti di carta avvolta e pressata imbevuti di paraffina. Grossi come un rullo di pellicola fotografica del tempo. La carta, arrotolata a più strati e legata stretta, veniva immersa nella paraffina o nel grasso per diverse ore fino ad impregnarsi. Una volta accesi, gli scaldaranci sviluppavano calore senza fiamma per circa 15 minuti. Buona parte della produzione venne garantita da quello che è stato chiamato "fronte interno". Le iniziative, cioè, della popolazione a sostegno dei combattenti. Questi compiti venivano affidati a donne e bambini dei comitati di assistenza. Lo scaldarancio era dotato di un fornelletto in filo di ferro la cui costruzione era sempre dovuta al volontariato. Nel marzo del 1916 ne vennero spediti da Cremona circa 400.000 pezzi (Carla Bertinelli Spotti). Le associazioni ed i comitati impegnati nella produzione di scaldaranci e fornelletti, ricevevano un distintivo con l’effige stilizzata sia dello scaldarancio che del fornelletto, a riconoscimento del benemerito impegno. |
Il rancio prima e dopo Caporetto | ||||
Razione prima del conflitto. Prima del conflitto la razione ordinaria per le truppe di complemento si aggirava intorno alle 3600 kcalorie (proteine 120 gr) e per le truppe di montagna intorno alle 4250 kcalorie (proteine 140 gr). Razione di guerra. Dopo lo scoppio del conflitto, essa venne aumentata a 4350 kcalorie (proteine 160 gr) circa. Erano previste integrazioni per le alte quote, le missioni pericolose, le azioni di guerra. I cosiddetti generi di conforto. In caso di mancato rifornimento viveri c’era la razione di riserva (2550 kcalorie, proteine 100 gr) costituita da gallette, carne in scatola, risone. Alla fine del 1916 la razione venne ridotta. Ci fu, infatti, all’interno del quartier generale chi considerava la razione del 1915 una razione di lusso. Si scese quindi a circa 3700 kcalorie (135 proteine) con una distribuzione del vino non più giornaliera e con baccalà due giorni a settimana al posto della carne. Il morale delle truppe ne risentì. Le ripetute battaglie dell’Isonzo lo fiaccarono ulteriormente fino alla disfatta di Caporetto. Razione ripristinata. Dopo Caporetto l’esercito venne riorganizzato lungo il Piave e si cercò di rivitalizzarne le forze aumentando e modificando la razione (Redaelli): La razione ripristinata ed aggiornata forniva 4250 kcalorie (proteine 165 gr). Venne ripresa la distribuzione giornaliera del vino. Si garantirono i generi di conforto nelle zone di guerra guerreggiata: scatolette di pasta asciutta, di carne, di sardine; pancetta; cioccolata. Limoni, noci. Dieci distribuzioni mensili di 15 cl di marsala; quindici distribuzioni mensili di 4 cl di anice, cognac rhum. E nelle grandi altezze: latte condensato, frutta secca, lardo, pancetta, cioccolata. |
|
In trincea | ||||
"Da per tutto si pesta nella merda, che sprigiona un puzzo insopportabile" dal libro "Trincee" di Carlo Salsa, ufficiale della Grande Guerra. Fango, spazi ristretti, rottami, latrine, cadaveri. Scarsa possibilità di lavare le masserizie e lavarsi. Puzza di sudore e deiezioni. Pericolo tifo e colera che richiesero la vaccinazione di massa. Le malattie batteriche decimarono le truppe in trincea: meningiti, dissenteria, tifo. Il problema in trincea non fu il rancio, ma le condizioni igieniche. | ||||
Fonti bibliografiche Alberto Redaelli "Cucina-Vino e Alpini" Wamar, 2002; Carla Bertinelli Spotti "Manuale di 150 ricette di cucina di guerra"; riedizione del testo originale del 1916, Collana Bontà, CremonaFiere, 2009; Carlo Salsa "Trincee, confidenze di un fante", Sonzogno 1924, Mursia 2007. |